Nell'anno 1597 venne rinvenuto, nelle acque del porto di Genova, un antichissimo Sisto o Ariete in bronzo foggiato a testa di cinghiale. Collocato sopra la porta dell'Arsenale, in seguito fu trasportato nell'Armeria di Palazzo Ducale, e, successivamente, nell'Arsenale di Terra, dove rimase fintantoché, insieme alle armi ed alle armature genovesi, non venne sistemato, per volontà del Re Carlo Alberto, nella costituenda Armeria Reale di Torino (1833).

 

Il manufatto, che non riveste particolare pregio artistico, ha per i Genovesi un’importanza simbolica fondamentale. Infatti esso è raffigurato nello stemma della città sotto lo scudo di San Giorgio e il suo spostamento a Torino (avvenuto in occasione della annessione della Repubblica Genovese al Regno di Sardegna a seguito del Congresso di Vienna) è vissuto da molti come un atto di vera e propria spoliazione da parte di uno Stato vincitore ai danni di uno Stato vinto. E ciò nonostante la riunificazione dell’Italia nel 1861, che non dovrebbe vedere né vincitori né vinti, ma solo Italiani. Genova, subito dopo la proclamazione dell’Unità d’Italia ha spontaneamente a restituito i cimeli che rievocavano le lotte fratricide che per secoli avevano insanguinato la nostra Patria, impendendo di arrivare ad uno Stato unitario: l’esempio più noto è quello delle catene che chiudevano l’accesso di Porto Pisano e che si trovavano esposte come bottino di guerra dopo la battaglia della Meloria nel 1290 su vari monumenti genovesi. Riporto la chiusura dell’indirizzo che la Deputazione del Municipio di Genova rivolse a quello di Pisa nel 1860 in occasione di tale restituzione:

“Accettatele adunque, o Pisani, come un pegno di amore fraterno; come una testimonianza del desiderio che punge i Genovesi di cancellare perfino la memoria degli antichi dissidii; come un segno di quella comunione di sentimenti, di interessi, di glorie, di speranze che deve esistere fra tutti gli Italiani; come un'arra di quella concordia che deve condurli un giorno alla meta delle loro grandi aspirazioni: l'indipendenza, la libertà, e l'Unità dell'Italia.”

Genova deliberò dunque subito dopo la proclamazione dell’Unità d’Italia di restituire tale doloroso cimelio a Pisa, come pegno di futura concordia.

E parimenti Genova si sarebbe attesa, un atto di pari magnanimità da parte di Torino, che però, a distanza di 150 anni tarda a concretizzarsi, per motivi onestamente poco chiari. Nel secolo scorso i primi tentativi di ottenere la restituzione vennero promossi nel 1979 dalla Associazione “A Compagna” che si interessò alla restituzione ad opera dell'infaticabile socio William Piastra. Egli scrisse alle varie istituzioni coinvolte cercando di ottenere notizie sul Rostro per individuare la strada che ne consentisse la restituzione alla città di Genova. Purtroppo, nonostante gli interventi favorevoli dell'associazione piemontese "Famija Turineisa" (vedi lettera allegata), questo primo tentativo non ebbe esito.

Circa dieci anni dopo lo stesso William Piastra ritornò all'attacco prendendo come spunto l'inaugurazione dell'Armeria Reale del dicembre 1987 e le allora prossime Celebrazioni Colombiane del 1992. Il presidente de "A Compagna", Giuseppino Roberto, prendendo a pretesto il fatto che Piastra venne insignito del premio "Luigi De Martini" coinvolse l'allora assessore regionale Edmondo Ferrero. Ma anche questo secondo tentativo non ebbe esito.

Nel Consiglio Comunale del 10 marzo 1997 venne presentata dal consigliere Bampi una mozione che impegnava sindaco e giunta ad attivarsi per ottenere la restituzione del Rostro depredato dai Savoia. La mozione fu approvata ma non ebbe concreto seguito. La stampa si occupò diffusamente dell’argomento, anche perché tra i pochissimi a votare contro vi fu il sindaco di allora, Adriano Sansa, che non fornì peraltro spiegazioni comprensibili della propria scelta. Al medesimo “A Compagna” indirizzò la lettera ce si allega.